CONFERENZA CINA - ROTARY 3.0

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ATTIVITA' DEL CLUB
DOVE VA LA CINA??
Da anni faccio relazioni e scrivo sulla Cina e sul mondo asiatico e più approfondisco i vari problemi del paese e più mi accorgo che capire la Cina è un’impresa ardua, non soltanto per chi non sa nulla della sua storia e della sua cultura, ma anche per chi la studia da anni.
                       
Della Cina nel nostro paese ci si occupa solo in occasione di particolari eventi (Covid, Taiwan, le Vie della Seta, il memorandum d’intesa con l’Italia, la visita della Meloni a luglio e quella di Mattarella a novembre).
Eppure, il paese ci affascina e ci inquieta e raramente ci lascia indifferenti.E come potrebbe lasciare indifferenti un paese che è il più popolato del pianeta (un miliardo e quattrocento milioni di abitanti); è grande come l’Europa, dall’Atlantico agli Urali; è la seconda economia del pianeta dopo gli Stati Uniti e produce il 19% del Pil globale, una quota pari a quella dell’intera Ue (18mila miliardi di dollari); è il principale importatore di beni dal mondo, il primo importatore mondiale di greggio e terzo di gas, realizza 20% della produzione industriale mondiale; tra le prime 500 imprese mondiali per fatturato, le imprese americane erano 122, quelle cinesi 145.
Questo è il quadro, cominciamo a vedere come è andata l’economia quest’anno.
La crescita del Pil è stata indicata attorno al 5%, la stessa del 2023, anno in cui è stata del 5,2%. Sulla base dei dati dei primi tre trimestri che hanno oscillato tra il 5,3% e il 4,8%, l’obiettivo verrà senz’altro raggiunto in qualsiasi modo, considerando che il sistema di rilevamento statistico cinese lascia molti dubbi sulla sua affidabilità.
La crescita è la più bassa dagli anni Novanta, tuttavia se paragonata alla crescita dei paesi Ue è sempre alta.
Tutti dicono che la Cina “non è più quella di una volta” perché sta attraversando un periodo difficile. Vediamo le problematiche:
-crisi immobiliare
Il settore immobiliare ha sempre contribuito a più di un quarto dell’economia nazionale. Le aziende di costruzione, vendevano gli appartamenti sulla carta prima ancora di costruire i palazzi e grazie alle entrate non li costruivano ma compravano altra terra dai governi locali e progettavano nuovi palazzi. Ma per finanziarli hanno accumulato debiti.
Il tutto si è inceppato a metà del 2020 quando il governo è intervenuto per frenare la speculazione, inasprendo i requisiti su finanziamenti e compravendite.
Tutto ciò ha creato problemi alle banche che avevano fatto credito ai costruttori e alle autorità locali che in passato si erano finanziate vendendo terreni alle aziende.
Oggi i colossi del settore sono in liquidazione e il governo ha immesso miliardi di dollari nelle banche affinché aumentino i prestiti al settore in modo che i costruttori finiscano le case e gli appartamenti che milioni di cinesi hanno già pagato.
L’acquisto della casa per i cittadini cinesi era come un bene rifugio e sono tanti i cittadini scottati dalla bolla, che non sono riusciti ad avere gli appartamenti.
La crisi ha spazzato via una ricchezza delle famiglie, ha depresso la capacità di spesa e rallentato i consumi nel paese.
Inoltre la crisi sta creando dei problemi all’indotto a monte e a valle (dalle materie prime come cemento, acciaio, legname fino all’arredamento e agli elettrodomestici per le nuove case).
Una cosa però è sicura l’epoca d’oro del mattone non tornerà più.

-la crisi demografica,
a seguito del calo delle natalità e dei matrimoni. La Cina ha cominciato a perdere un milione di persone all’anno dal 2022, su 1 miliardo e 400 milioni di abitanti il suddetto calo è un’inezia, il problema sorgerà nei prossimi decenni se continuerà il trend negativo.
Alla radice del problema c’è la politica del figlio unico (1980-2015) che, seppur rimossa, continua ad avere effetti negativi. Non sono bastate a cambiare il trend, l’introduzione di quella sul secondo figlio nel 2016 e poi quella sul terzo nel 2021.
Pechino ha cercato di incentivare l’aumento del tasso di natalità con aiuti e incentivi alle giovani mamme, ma al momento la crescita del costo della vita specie nelle grandi città cinesi, con i salari medi stazionari, ha frenato i tassi di natalità.

-l’invecchiamento della popolazione
ha causato un drastico calo della popolazione in età lavorativa, più del 18% dei cinesi ha superato i sessant’anni, destinato ad accelerare. L’invecchiamento della società metterà un’enorme pressione sul sistema delle pensioni e dell’assistenza sanitaria.
L’età pensionabile verrà aumentata a 63 anni, segnale che la crisi demografica è grave.
-l’aumento della disoccupazione giovanile,
oltre il 21% nella fascia di età 16-24 anni. Ogni anno dalle 100 università cinesi escono circa 2 milioni di laureati che non trovano tutti lavoro come avveniva negli anni Novanta.
Con la situazione economica non buonissima molti giovani cinesi fanno domanda di ammissione al concorso per diventare funzionari pubblici, un ritorno al posto fisso, l’opposto di quello che era successo negli anni 70 quando in molti abbandonarono il lavoro da impiegati statali per lanciarsi nel business che si stava affacciando nel paese.
Tutto questo comporta che anche che i giovani sono meno propensi di formare una famiglia.
-la debolezza dei consumi interni.
La domanda interna è bassa, e dovrebbe essere maggiormente stimolata se si vuol far ripartire l’economia. Il paese avrebbe bisogno di una maggior spesa pubblica per rilanciare i consumi interni, ma il Partito rifiuta di applicare misure a sostegno dei consumi privati.
L’unica cosa che il governo ha proposto per il 2025 è quella di prolungare le ferie esistenti (capodanno cinese nei primi mesi dell’anno, golden week di ottobre e le altre) di due giorni, per stimolare la spesa dei consumatori.
-gli investimenti esteri
in Cina sono ai minimi. Il calo è stato determinato dal Covid e dalle reiterate minacce di aggressione contro Taiwan, dai dazi americani ed europei, per cui le multinazionali straniere sono meno disponibili a reinvestire i profitti realizzati in Cina e riportano a casa gli utili e stanno dirottando i loro investimenti verso il Messico, Vietnam e persino India, Bangladesh e Indonesia.
Si chiama reshoring (rilocalizzazione) o friendshoring (localizzazione tra amici) Apple ha spostato in India il 20% della produzione di iPhone, le multinazionali tedesche si organizzano per rendere le proprie sussidiarie cinesi più indipendenti tecnologicamente, il governo americano ha limitato la vendita di tecnologia strategica ai cinesi. Trump minaccia dazi del 100% sulle merci importate dai due paesi dove producono aziende cinesi.
-l’attività produttiva in eccesso.
Il governo ha rafforzato la produzione di alcuni settori industriali innovativi, per perseguire l’autosufficienza tecnologica, in particolare: i veicoli elettrici di cui è leader mondiale, i pannelli solari installati più di qualsiasi altro paese al mondo, la capacità eolica raggiunta in quantità record.
L’eolico e il solare rappresentano ora il 37% della capacità energetica totale del paese, mentre il carbone rappresenta il 39% del totale, la fonte fossile meno cara e più inquinante.
Paradossalmente è il settore dei veicoli elettrici a registrare flop inattesi, la produzione di auto elettriche è passata da 300 mila nel 2020 a 6 milioni nel 2024, la domanda interna ristagna a 2 milioni e le esportazioni a 500mila. Il surplus di produzione è di 3,5 milioni di vetture.
La Cina cerca di smaltire la sua produzione nel resto del mondo, specie in Africa, spesso a prezzi di realizzo. Una minaccia su scala globale.
Rapporti con gli Usa
I rapporti commerciali tra i due paesi non sono i migliori.
Ha iniziato Trump durante i suoi 4 anni alla Casa Bianca aveva imposto dazi commerciali su circa 380 miliardi di dollari di prodotti, la maggior parte dei quali provenienti dalla Cina e Biden li ha mantenuti in vigore se non aumentati.
Altra decisione di Biden è stata quella di bloccare l’export americano di semiconduttori di ultima generazione, e dei macchinari per produrli da parte di aziende, anche non americane, che contengano tecnologia made in Usa.
La Cina ha i suoi produttori ma questi producono chips di fascia medio bassa, il 100% della capacità produttiva di semiconduttori avanzati è localizzata a Taiwan con la ditta Tsmc (92%) e in Corea del Sud (8%). La Cina ha bisogno di importare questi chips per il settore tecnologico, per i sistemi di sorveglianza, per il settore militare. Il paese si era dato come obiettivo di coprire entro il 2025 il 70% del suo fabbisogno con la produzione interna, ma oggi sta sotto al 20%.
Trump ora minaccia di imporre dazi del 60% sulle importazioni cinesi, prima di trattare direttamente da una posizione di forza.
Rapporti con la UE
Nel 2023 è stata aperta un’indagine antidumping sulla quantità di contributi che le case automobilistiche cinesi ricevevano dal governo.
Al 30 ottobre di quest’anno sono entrati in vigore dazi definitivi per i produttori di auto elettriche cinesi a seconda della quota di sovvenzioni che ricevono dallo stato e dal livello di collaborazione dimostrato a Bruxelles. Una tariffa del 10% era già in vigore e a questa si sono aggiunti dazi variabili che vanno dal 17% di Byd al 36,3% di Saic per arrivare al 19,3% di Geely.
Come ritorsione Pechino sta studiando di colpire le esportazioni di vetture europee in Cina, un mercato che vale 20 miliardi di euro l’anno. L’aumento delle tariffe andrebbe a colpire i profitti di molte case europee e in particolare i gruppi tedeschi.
Altra ritorsione commerciale di Pechino dovrebbe colpire i distillati, soprattutto il cognac, i prodotti lattiero caseari alla luce dei sussidi concessi dall’Ue e subito dopo la carne di maiale.
La Cina spera con queste mosse di fare pressione sui singoli stati del blocco e ad arrivare ad una marcia indietro. Margini di manovra in questo senso ce ne sono, infatti i dazi sulle auto elettriche si applicheranno dal 2025, poi il blocco dei 27 (la Germania si batte contro le sanzioni) dovranno votare la proposta definitiva che diventerà legge per i prossimi cinque anni.
L’interscambio commerciale Italia-Cina
La Cina è un partner per l’Italia e fino ad un anno fa eravamo il 9 mercato di destinazione dell’export italiano, oggi siamo l’11 mercato e la quota delle nostre vendite vale il 2,5% del nostro export, una quota molto bassa e la Cina è il secondo fornitore dell’Italia, dopo la Germania.
L’interscambio commerciale si è assestato nel 2023 a 67 miliardi di euro, con un deficit per l’Italia.
Il 2023 si è chiuso con un dato positivo delle esportazioni italiane in Cina che hanno registrato una crescita del 16,8%, attestandosi sulla cifra di 19,2 miliardi di euro. L’aumento è da attribuire alla presenza in Italia di un impianto Pfizer per la produzione del farmaco Paxlovid anti Covid, esportato in Cina.
A livello settoriale risultano in crescita il settore farmaceutico, il comparto del tessile e l’abbigliamento e quello dei macchinari, che fanno da soli il 40% delle esportazioni italiane in Cina.
Il valore delle importazioni italiane dalla Cina nel 2023 è stato pari a 47,6 miliardi di euro con acquisti concentrati su: apparecchi elettronici e ottici, apparecchi elettrici, prodotti tessili, sostanze e prodotti chimici e macchinari.
Il rapporto, import-export, come dimostrato anche dai dati dei primi otto mesi del 2024, continua a essere fortemente sbilanciato a favore della Cina.
Per decenni la Cina ha fatto il successo del lusso e dei vari marchi europei, ora nel 2024 siamo entrati in una fase di stanca e contrazione e i cinesi non spendono più come prima e non sono più disposti a spendere cifre elevate. I Millenials (1980-1994 divenuti maggiorenni nel nuovo millennio) e la Generazione Z (1995-2010) sono meno interessati ai brand stranieri e più orientati a prodotti di nicchia locali, copie di marchi stranieri, meno cari.
Ora si tratta di capire se siamo di fronte a un rallentamento congiunturale oppure a qualcosa di strutturale.
Investimenti tra i due paesi
Anche nel campo degli investimenti vi è un disequilibrio, infatti gli investimenti italiani in Cina, che ammontano a 15 miliardi di euro, soprattutto nel settore manifatturiero, sono circa tre volte quelli cinesi in Italia.
L’Italia sta lavorando per essere una destinazione attraente per le imprese cinesi e il Piano d’azione triennale sottoscritto dalla Meloni è un passo significativo in questa direzione, per il rafforzamento del partenariato strategico fra i due paesi con l’obiettivo di valorizzare il lavoro già fatto ed esplorare nuove forme di collaborazione, lavorando per un bilanciamento dei rapporti commerciali.
La cooperazione nel Piano riguarderà vari settori strategici: l’automotive, in particolare i veicoli elettrici, le rinnovabili, le nuove tecnologie, ma anche la cantieristica navale, l’aerospaziale e l’intelligenza artificiale, insomma tutte le nuove forze produttive ad alto valore aggiunto.
Vorrei qui aggiungere che l’uscita dell’Italia a dicembre 2023 dal Memorandum d’intesa sulla Nuova Via della seta, firmato nel 2019, è stato un successo della Meloni. Nessuna reazione negativa da parte della Cina.
Vorrei ora parlarvi per un momento del leader del paese.
Xi Jinping
Il 10 marzo 2024 si è riunita l’Assemblea Nazionale del Popolo, il Parlamento cinese, e Xi Jinping, oggi ha 71 anni, è stato nominato per la terza volta presidente della Repubblica Popolare cinese, segretario del partito e capo delle forze armate, consacrandolo leader fino al 2028.
La nomina è stata possibile perché nel 2018 il Parlamento ha emendato la costituzione, abolendo il limite dei due mandati, introdotto da Deng Xiaoping, per la Presidenza della Repubblica
Il Parlamento non ha nominato un successore capace di raccogliere la sua eredità nel 2028, quando avrà 75 anni e ciò fa presupporre che farà il presidente a vita, fino a quando vuole o fino a quando sarà in grado di farlo.
Taiwan
L’obiettivo di Xi è di ricongiungere Taiwan, che conta 23 milioni di abitanti, alla madre patria entro il 2049, anno del centenario della Repubblica popolare e nei prossimi anni Pechino si impegnerà a farlo con ogni mezzo, pacifico o militare, e nel frattempo sta facendo di tutto per isolare Taiwan diplomaticamente, solo 11 paesi, tra cui il Vaticano, la riconoscono ancora come Stato.
Xi Jinping non attenderà certo il 2049, quando avrà 96 anni, per riprendersi l’isola. Lo farà prima.
Diverse sono le tattiche
Ha iniziato quest’anno con l’esercitazione di accerchiamento militare denominata “Spada Congiunta 2024” svolta attorno all’isola, con incursioni aeree nel cielo taiwanese e con incursioni navali intorno all’isola per simulare un blocco navale.
Molti pensano che con queste minacce la Cina stia mettendo in pratica la strategia dell’anaconda per soffocare lentamente Taiwan, per mettere sotto pressione la popolazione e dimostrare che l’attacco è ormai solo questione di tempo e per mettere alla prova la solidarietà americana.
La sensazione è che non ci sia una volontà imminente, ma è chiaro che un maggior dispiego militare porta maggiori rischi di incidenti non calcolati, passibili di essere utilizzati come casus belli.
Sebbene la Cina abbia superato l’America per numero di unità navali da guerra, in alcuni casi la loro qualità non è ancora pari a quella statunitense, come dimostra l’affondamento in un cantiere di un sottomarino a propulsione nucleare non ancora entrato in servizio.
Trump ha l’interesse a mantenere il controllo dell’area e l’attuale stato di coesistenza anche se ha dato poche garanzie a Taiwan su una eventuale difesa americana in caso di invasione cinese.
La realtà è che una decisione vera in caso di attacco cinese verrebbe presa dal Pentagono e dalla Cia che vede la Cina come una minaccia nel Pacifico.
Taiwan sta vivendo la sindrome dell’abbandono americano e la mancanza di fiducia nei confronti del Vaticano e di Papa Francesco che nasce dalla sensazione che la Santa Sede possa sacrificare il rapporto storico, la presenza della nunziatura a Taipei, per aprire le relazioni diplomatiche con Pechino.
Il Vaticano e la Cina hanno prorogato quest’anno di altri quattro anni l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi cattolici in Cina. Il governo cinese ha finora respinto le nomine dei vescovi da parte del Vaticano come interferenza negli affari interni del paese.
Conclusioni
La Cina ha prodotto per quattro decenni un terzo della crescita mondiale e se la locomotiva cinese si fermasse il mondo intero ne risentirà.
Ogni punto di crescita del Pil cinese porta un incremento dello 0,25% di quello mondiale.
Il rallentamento economico può privare Xi Jinping dei mezzi per perseguire i suoi obiettivi:
-il risorgimento della nazione, il superamento del secolo delle umiliazioni subite per mano di europei, russi e giapponesi tra la prima guerra dell’oppio (1839) e la fondazione della Repubblica popolare nel 1949,
-la trasformazione del paese in superpotenza capace di competere con gli Stati Uniti sul piano militare e tecnologico
-la creazione di un ordine globale alternativo a quello americano e occidentale, per sfidare la governance occidentale nelle istituzioni internazionali e per porsi come alternativa dal punto di vista commerciale e finanziario al predominio del dollaro, con l’aiuto dei paesi del Sud Globale e dei Brics Plus che attualmente sono diventati nove e che aumenteranno nei prossimi anni. (Brasile, Russia, India, Cina, Sud c, Emirati Arabi, Egitto, Etiopia e Iran).
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